martedì 15 maggio 2012

Per la serie: lo sapevate...

...che esistono dei funghi (ma sono davvero dei funghi?) chiamati "icheni"?
...che se una sostanza è dolce è buona, e se è amara è velenosa?

Stamattina presto, come spesso faccio, ho aperto il Corriere online ed ho letto i titoli. Poi ho aperto due articoli che mi interessavano. Davvero, solo due articoli, ed in entrambi ho trovato materiale interessante ai nostri fini. Alcuni dei contenuti di questi articoli, per chi crede ancora nell'importanza e nella solennità della professione giornalistica, sono sconcertanti. Ecco di cosa si tratta.

Primo articolo:
Svolta per il delitto di Arce, isolato il DNA del killer di Serena

Non leggo mai la cronaca nera. Per questo articolo ho fatto un'eccezione perché sono originario della Ciociaria, e sento un profondo legame con i luoghi e le persone.

Oltre a varie affermazioni sulla cui precisione nutro più di un dubbio, ho trovato la seguente frase (che riporto in immagine perché potrebbero correggerla):


Avete capito? Sono stati trovati degli "icheni". Che ovviamente sono dei "licheni". Sconcertante che un giornalista non abbia mai sentito parlare dei licheni: si insegna della loro esistenza sin dalle scuole medie, se non prima! E poi la frase stessa deve essere probabilmente errata, anche se non posso esserne sicuro al 100%. I licheni sono molto diffusi, credo sia difficile trovare una località in cui non esistano.

Forse il giornalista voleva dire: "sono stati trovati dei licheni che non crescono a Fontecupa". Inoltre i licheni non sono dei funghi: sono organismi simbiotici di cui i funghi sono una delle due componenti.

Forse sono troppo pignolo, ma queste approssimazioni contribuiscono a mettere in dubbio tutto il contenuto dell'articolo.

Secondo articolo:
Dobbiamo davvero privarci di tutto ciò che ci piace?

Anche qui c'è un'affermazione davvero discutibile, che sarebbe stata fatta da un esperto in nutrizione. Mi rifiuto di credere che una persona laureata in una qualsiasi materia scientifica possa fare affermazioni del genere. È molto più probabile che sia stato il giornalista a fraintendere e a non riflettere su ciò che ha scritto:


Quindi, per sapere se qualcosa è buona o velenosa basta assaggiarla. Ergo la rucola, che mi piace tanto, è velenosa perché è amara.

Il problema generale, come al solito, non è tanto l'errore in sé, ma il senso di approssimazione che viene trasmesso da certe assurdità e che si espandono a tutto l'articolo. E a tutto il giornale!

Cari giornalisti, un po' più di cura nella revisione degli articoli!!!! :-)



lunedì 14 maggio 2012

Americani, popolo di ingegneri

Sabato 12 maggio, nella trasmissione "Impero" dedicata alle origini ed allo sviluppo della bomba atomica, continuavo a sentire la parola "Ingegnere": Gli ingegneri fecero questo, gli ingegneri fecero quest'altro. Qualunque cosa che non fosse stata fatta da un professore era stata fatta da un ingegnere. Veniva proprio da pensare che gli Americani fossero un popolo di ingegneri... sembrava che gli ingegneri li vendessero "a dime a dozen": dieci centesimi la dozzina, come dicono loro.

Il problema - lo avrete capito - è la traduzione. Qui da noi il titolo di Ingegnere può stare alla pari solo con quello di Notaio e di Dottore in medicina, mentre in America "Engineer" può significare tanto "Ingegnere", quanto "Tecnico", quanto "Soldato del genio".

Ad esempio il corpo del Genio si chiama Engineer corps. "Genio", "Ingegnere" e "Engineer" hanno la stessa origine nel latino, da "Ingenium", ma col tempo e nelle diverse lingue hanno assunto significati diversi che nella traduzione bisognerebbe rispettare.

Secondo "Impero", invece, gli ingegneri dell'esercito americano erano più numerosi dei dotto' a Roma. Ad esempio, bisognava costruire un capannone. Chi avrebbero chiamato a costruirlo? Gli ingegneri naturalmente. Una bomba atomica? Anche qui solo gli ingegneri avrebbero potuto realizzarla. Ed il dispositivo di implosione della bomba al plutonio? Avete indovinato. Solo gli ingegneri escogitarono il modo di realizzarlo.

Questo errore fa pendere la bilancia a favore di chi sostiene che le trasmissioni non italiane bisognerebbe trasmetterle in lingua originale, usando caso mai i sottotitoli in italiano. In questo modo chi conosce la lingua può seguire il testo originale e corretto, e chi non la conosce può avere un'idea del contenuto dal testo (parzialmente errato) dai sottotitoli :-)

sabato 12 maggio 2012

La pésca o la pèsca?

È tutta una questione di accenti: c'è un divertente racconto di Achille Campanile tutto giocato sul diverso significato di una frase, una parola della quale è letta con un accento diverso da quello sottinteso:

Domande da pórci
e
Domande da pòrci

Lo stesso vale per questo cartello sul lago di Santa Massenza nel Trentino, in cui si descrive la storia del luogo:
La pèsca del luccio
o
La pésca del luccio
???

Il traduttore ha preso pésca per pèsca, ed ha tradotto di conseguenza. Così ora sappiamo che nel laghetto di Santa Massenza ogni luccio possiede una pèsca. Sì, perché questo è ciò che ha scritto nel cartello in inglese:
the peach of the pike

mentre avrebbe dovuto tradurre ad esempio:
pike fishing

Grazie del divertente errore!

(segnalato da Isabella Poggesi)



PS: ma il luccio, a quante pèsche ha diritto ogni anno? Forse dovremo chiedere al Ministro Fornero. Avrà sicuramente contingentato anche questa fornitura, ed avrà imposto un limite di età per fruire di tale elargizione.

martedì 8 maggio 2012

E il video divenne un virus

Ebbene sì, ci sono cascato: lunedì sera ho visto un episodio di CSI. Con il relativo contorno di corpi spezzettati (ma visto che sono sensibile cambiavo per tempo canale...).

Nella storia che ho guardato, alcune ragazze di una scuola perseguitano per gelosia una loro compagna. Giungono a creare un video, che caricano sul web, in cui la prendono in giro e la umiliano.

Questo video, come succede per le cose migliori e peggiori, si diffonde in modo rapido ed incontrollato e viene visto anche dalla vittima in questione, con conseguenze tragiche.

Uno degli investigatori, ricostruendo la vicenda, dice...
Alt, un momento, cancellate. Ecco la frase giusta:
Ad uno degli investigatori che ricostruisce la vicenda vengono fatte pronunciare le seguenti parole:

«...e a questo punto il video è diventato un virus...»

Eh no! Il solito programma che gira in background nella testa di ogni traduttore ha acceso la lucina rossa: un video non può diventare un virus. Molto probabilmente la frase corretta sarebbe questa:

«...e a questo punto il video è diventato virale...»

Il traduttore probabilmente non aveva mai sentito parlare di video virale (e cioè un video che si diffonde in modo molto rapido, in genere grazie al passaparola), ed avrà tradotto "has become viral" con "è diventato un virus".

Lungi da me il lapidare il traduttore: l'errore è sempre dietro l'angolo, e se il tempo concesso per la traduzione è - come quasi sempre succede - ristretto, la guardia a volte cala un po'. E si inciampa, di solito, nelle cose che si danno per scontate.

A me è successo tempo fa un episodio simile, fortunatamente recuperato in tempo prima della consegna del lavoro. Ma ve lo racconterò un'altra volta.

Intanto sosteneteci leggendo i nostri consigli per gli acquisti:






domenica 6 maggio 2012

Errore potenziale

In questo periodo come avrete notato gli errori scarseggiano! Buon segno? Chissà.
Parliamo allora di quelli potenziali: poco tempo fa stavo traducendo in italiano, dall'inglese, un contratto che prevedeva l'installazione di un impianto fotovoltaico sui tetti di alcuni edifici.

Avevo trattato l'argomento fotovoltaico varie volte in passato, ma solo dal punto di vista puramente tecnico: progettazione di centrali solari, metodi per il calcolo del rendimento e così via.

Bene, comincio a leggere e ad un certo punto mi imbatto in una frase: «The SPV - Special Purpose Vehicle...» e mi blocco, incredulo. Mi dico: ma "SPV" è la sigla di "Solar PhotoVoltaic", e cioè [Impianto] ad energia solare. Cosa c'entrano gli Special Purpose Vehicles, e cioè - per come la capivo io - i Veicoli per Impieghi Speciali? Nel preambolo, nell'articolo 1 e nell'articolo 2 si è parlato di impianti fotovoltaici, ed ora parlano di veicoli?

In effetti dopo una rapida ricerca ho capito che i tecnici, gli avvocati, il notaio che avevano avuto a che fare con l'atto non avevano preso una sbornia collettiva. Era tutto vero: SPV significa anche Special Purpose Vehicle; ma questa espressione indica una società con uno scopo speciale! In italiano si traduce con «Società di progetto».

Questo errore potenziale rivela due aspetti fondamentali del lavoro del traduttore:
- questi deve diffidare sempre del significato apparente delle parole e delle espressioni, e
- deve essere consapevole che non si finisce mai di imparare e scoprire sempre cose nuove.

E questo è l'aspetto più bello della professione.

Per capire meglio cos'è una SPV, consultate Wikipedia a questo link.

Ecco un SPV come me lo immaginavo. Certo, i
6.600 cc di cilindrata di un Hummer  non hanno molto a che
fare con il risparmio energetico, cuore della
filosofia del fotovoltaico!



martedì 1 maggio 2012

Traduttore amante della filosofia

Nel DVD del film «Giù al nord» (Bienvenue chez les Ch'tis) è compreso anche il filmato del cosiddetto «making of».

Ad un certo punto, verso il minuto 20, il gruppo di attori principali è riunito attorno ad un tavolo per una scena di interni e il protagonista, con in mano un orologio a pendolo, ripete due volte:

«Moi, je suis le temps qui passe»

e infatti con il dito segue il movimento della lancetta. Traduzione nei sottotitoli, entrambe le volte: «Io sono il tempo che passa».

Giusto? Solo formalmente. Per uno di quei tanti casi in cui il significato dipende dal contesto, la traduzione è sbagliata. Il problema è che in francese «suis» significa sia «sono» che «seguo».

Qui il traduttore avrebbe dovuto tradurre, in base al contesto, «Io seguo il tempo che passa», e non «Io sono...»: un'affermazione, quest'ultima, forse seducente dal punto di vista filosofico, ma insensata in un film comico.

(Segnalato da Manuela Dal Castello)


La famosa opera, scolpita in joint venture da Fidia e Dalì:
«Socrate che medita sul tempo che passa e si identifica in esso».
I critici sono unanimi nel riconoscere,
nell'orologio, la mano di Fidia.